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Google senza buoni e cattivi

ippolita_coverAttivo fin dal 2005, il gruppo di ricerca Ippolita si è presto affermato come una delle voci più autorevoli nel panorama italiano della teoria critica della rete. A due anni di distanza dal loro ultimo lavoro (Nell’acquario di Facebook, opera in cui veniva decostruito il progetto anarco-capitalista che anima il social network in blu), il collettivo di filosofia radicale torna in questi giorni nelle librerie con il volume La rete è libera e democratica. Falso!. Li abbiamo intervistati.

Glenn Greenwald, il giornalista che ha portato alla luce le rivelazioni di Edward Snowden, in una recente intervista al Manifesto ha sostenuto che «le forme di controllo servono a sorvegliare (e punire, proprio come sostiene Michel Foucault) gli elementi “cattivi” della società, all’interno di una divisione tra buoni e cattivi che crea la legittimazione alle forme di controllo». Ippolita però, più che sulla nozione di “società del controllo”, insiste su quella di “società della prestazione”. Quale differenza passa tra i due concetti?

Siamo abituati a pensare che il tema del controllo sociale sia di esclusivo appannaggio politico, mentre ora è diventato anche una prerogativa commerciale. La capacità di stoccaggio dati di una società come Google infatti è senza dubbio superiore rispetto a quella di qualsiasi stato. E questo per il semplice fatto che Big G ha sviluppato ormai da anni un know how specifico in quest’ambito. Continua a leggere

L’architettura dell’emozione connettiva

CERVELLI-SCONNESSI-Che cosa succede a Internet se la logica paritaria ed orizzontale che ne aveva contraddistinto lo spirito originario viene meno? Quali sono le forme di vita che germogliano in spazi digitali privati, organizzati esclusivamente secondo una razionalità neoliberista? Quali le mutazioni che investono la nostra struttura cognitiva se il cervello va in overloading, travolto da una quantità d’informazione che non è in grado di processare?

Sono queste le domande al centro della riflessione sviluppata da Giuliano Santoro in Cervelli Sconnessi. La resistibile ascesa del net-liberismo e il dilagare della stupidità digitale (Castelvecchi RX, 141 pp., 16,50 €), un testo dal taglio divulgativo in cui l’autore ripercorre a volo d’uccello la parabola che ha segnato l’epopea della rete, da Arpanet fino al Web 2.0. Salutata nella sua fase aurorale da entusiastiche grida che ne esaltavano il supposto potere liberatorio, celebrata come medium universale che recava in nuce la promessa di un nuovo umanesimo, raccontata come territorio ingovernabile e sfuggente alla morsa «degli stanchi giganti di carne e di acciaio» (J.P. Barlow), Internet, afferma l’autore, oggi ha ormai mutato il suo corso: non più uno strumento dalle potenzialità rivoluzionarie ma, al contrario, un dispositivo di dominio che ha finito per «rafforzare le relazioni di potere invece che allentarle». Continua a leggere